I giocatori di Titano [The Game-Players of Titan] (1963) – Philip K. Dick
Il solito Dick e questo e’ un bene, voglio dire: argomenti e confini graniticamente incerti.
Riesce sempre a cogliere di sopresa e ad insinuare il dubbio.
Un librettino leggero che si divorna in un fine settimana e che lascia la solita patina di angoscia e malinconia dietro l’ultima pagina.
Comincia come una storia classicissima di Science Fiction che pure contiene elementi sociologici di un certo interesse: la visione sulla coppia uomo-donna, in completo disfacimento e disgregazione, in mondo esterno altrettanto disgregato e post-catastrofico.
In questo scenario il gioco d’azzardo diventa una sfida sociale.
Poi improvvisamente com’e’ tipico di Dick, il tutto assume dimensioni metafisiche e si aprono scenari interplanetari nei quali il gioco assume una valenza assai piu’ importante.
La repentina accelerazione degli eventi introduce anche una girandola di eventi e azione che risucchia il lettore in un vortice appassionante.
Ritroviamo in questo romanzo molti degli elementi cari a Dick: la casualita’, la ciclicita’ del racconto, i poteri psichici, gli squarci improvvisi su altri mondi.
Dietro la realta’, dietro il suo tessuto e il suo quieto fluire si nasconde una pluralita’ di possibilita’, di mondi.
Gli elementi futuribili e di S.F. classici sono numerosissimi e ci parlano di consuetutini e abitudinarieta’.
Ma improvvisamente irrompe qualcosa che muta radicalmente segno e prospettiva.
E’ lo squarcio improvviso che ti rivela qualcosa di troppo grande per essere compreso subito che serve a far crollare le certezze minando le basi di cio’ che si e’ sapientemente costruito e destrutturandolo dall’interno facendolo precipitare in una realtà assolutamente parziale, provvisoria e quanto mai traballante.